I ravioli al plin: storia e leggenda da assaporare

Chi ama la cucina piemontese, o chi è passato da noi a trovarci, non ha potuto fare a meno di assaggiare i ravioli al plin, vera eccellenza delle Langhe.

Ma quali sono le origini e le leggende dietro questo piatto?

La loro storia è incerta.

Secondo la teoria più accreditata, sarebbero nati per recuperare gli avanzi dell’arrosto. Un modo ingegnoso e gustoso per non sprecare niente e per valorizzare avanzi che altrimenti sarebbero andati buttati via, in un periodo dove la carne era un alimento prezioso.

La tradizione vuole che, in origine, venissero serviti “al tovagliolo”. Una volta cotti e scolati venivano infatti posti sconditi all’interno di un tovagliolo di lino, affinché non perdessero la loro naturale morbidezza e si potessero assaporare tutte le loro sfumature di sapore senza condimenti a mascherarle.

Solo a volte venivano accompagnati con un brodo leggero, servito a parte in una tazza, o con del vino rosso.

Ancora oggi questa ricetta viene proposta da alcuni chef della zona, impegnati in un recupero delle più antiche tradizioni della cucina piemontese.

E il loro nome?

Il termine agnolotto pari che derivi dalla parola dialettale anulòt, uno strumento a forma di anello che un tempo veniva utilizzato per preparare gli agnolotti in casa. Un tempo infatti questa pasta era chiusa, e solo in un secondo momento ha preso la sua caratteristica forma che tutti noi conosciamo. Ed è proprio la chiusura caratteristica a dare il nome plin; se infatti ogni famiglia ha una sua ricetta per il ripieno, unica e tramandata da generazioni, ciò che accomuna tutti i plin è la tipica chiusura della forma quadrata con un leggero pizzicotto. Un plin, appunto.

Sconditi su un tovagliolo di lino, accompagnati con del vino rosso locale o conditi con sughi d’arrosto o tartufo bianco d’Alba, i nostri plin vi faranno scoprire che dietro la loro storia c’è un sapore unico che si tramanda da secoli. Scoprilo ora.